Dr. Foà:
Buona giornata a tutti. Sono Robi Foà, sono il professore di ematologia all'Università Sapienza di Roma. La leucemia linfoblastica acuta è una patologia del sangue, ovviamente, che nasce nel midollo osseo, che è la sede dove nascono le cellule del sangue. L'origine di tutto il nostro sangue è dal midollo osseo, dove ci sono le cellule staminali che si differenziano dalle cellule mature che abbiamo nel sangue periferico. La leucemia acuta linfoblastica è quindi dovuta a un evento che colpisce i progenitori all'interno del midollo osseo, quindi una malattia del midollo, con un andamento aggressivo, infatti si chiama acuta, e coinvolge anche il sangue periferico quasi sempre e talvolta anche altre sedi anatomiche del nostro organismo.
La diagnosi di un paziente con leucemia acuta, direi in generale, perché come ho detto prima possiamo avere una leucemia acuta linfoblastica o miroblastica. È un momento fondamentale che dev'essere espletato in tempi brevi. Cioè noi abbiamo il sospetto di una leucemia acuta, di solito basata su alcuni sintomi che il paziente riferisce. Va dal medico, il medico chiede gli esami, di solito fa un emocromo, e normalmente l'emocromo ha dei parametri alterati. Il più delle volte un aumento dei globuli bianchi e ci può essere una riduzione dei globuli rossi e delle piastrine, quindi un'anemia e una piastrinopenia, che possono dare stanchezza, che possono dare sanguinamenti.
E quindi il medico deve mandare il paziente in un centro di ematologia rapidamente. E la diagnosi va fatta in modo accurato e rapido e in pochissimi giorni. Chiaramente si guarda la morfologia delle cellule, il sangue periferico e nel midollo osseo. Se si ha un sospetto diagnostico di leucemia acuta, forse anche linfoide o miroide può aiutare anche la cosiddetta citochimica, ma il passo fondamentale per la diagnosi è l'immunofenotipo, cioè le caratteristiche immunologiche delle cellule malate.
Se parliamo di leucemia linfoblastica acuta, dobbiamo definire che sono linfoidi, sono linfoidi immature. Tra l'altro dobbiamo definire che tipo di cellule linfoidi, perché possono essere B, T, sottogruppi delle cellule linfoidi. Il passo successivo è quella della genetica molecolare, che è un punto estremamente importante, perché abbiamo diversi marcatori genetici associati a questa patologia, alla leucemia linfoblastica acuta, e questi possono avere una valenza prognostica e anche di scelta terapeutica. Perché per alcune forme noi abbiamo dei trattamenti mirati in base al profilo genetico di quel determinato paziente.
Tutto questo si può fare nel giro di pochi giorni, in centri ovviamente che hanno tutte queste tecnologie a disposizione. Altro punto che volevo aggiungere è che il profilo che noi definiamo dei singoli pazienti nella diagnosi è importante per quello che è chiamato il monitoraggio della malattia residua minima durante l'iter terapeutico. Questo è un aspetto fondamentale, perché noi possiamo monitorizzare praticamente tutti i pazienti con la leucemia acuta linfoblastica o con tecniche citofluorimetriche, cioè immunologiche, o con tecniche di biologia molecolare. Quando parleremo di terapia dirò che quello che noi dobbiamo cercare di ottenere nel trattamento della leucemia acuta linfoblastica è se possibile l'eradicazione della malattia, perché noi dobbiamo mirare a curare, a guarire il paziente. Si può guarire di leucemia acuta linfoblastica e per molti pazienti è proprio così, quindi dobbiamo eradicare la malattia. Quindi monitorizziamo durante la terapia la malattia minima.
Anzi, i protocolli clinici modificano le terapie in base al monitoraggio della malattia minima. Mettendo insieme tutto questo, per dire che lo step della diagnosi è assolutamente fondamentale. Dev'essere fatto in modo rapido e accurato. Sul discorso dei sottotipi di LAL e il ruolo della classificazione FAB. La FAB è una vecchia classificazione che sta per French-American-British, ed è una classificazione che è stata sviluppata negli anni Settanta. Io la ricordo perché stavo a Londra in quegli anni, quindi ricordo proprio questa classificazione, che è stata estremamente importante, mentre oggi onestamente si usa molto meno. Perché oggi abbiamo altre tecnologie, come accennavo prima. Il FAB si basava sulla morfologia e sulla citochimica. Importantissime e oggi superate dall'immunofenotipo, dalla citogenetica, soprattutto dalla genetica molecolare.
Noi dobbiamo comunque riconoscere i sottogruppi e lo facciamo, come accennavo, con l'immunofenotipo, con la linea B, più o meno immature, e anche la linea T, in alcuni casi con dei fenotipi delle cellule citotossiche. Ancora più importante è la parte genetica, perché dobbiamo definire se i pazienti appartengono o meno a diversi sottogruppi genetici. Ne conosciamo molti per le LAL e sono un po' diversi da bambino ad adulto. Questo è molto importante, perché per qualche sottogruppo dobbiamo utilizzare una terapia diversa e lo diremo penso tra un attimo. In base al profilo genetico alcuni pazienti devono andare a una terapia mirata con farmaci mirati per l'aseogenetico. Quindi questo va identificato nei primi giorni dalla diagnosi.
Per quanto riguarda il trattamento di prima linea per i pazienti con leucemia acuta linfoblastica, questo credo che vada rivisto alla luce dei commenti che ho fatto alle precedenti domande. Noi dobbiamo inquadrare paziente per paziente. Cosa facciamo di solito? Questo è mutuato da studi pediatrici di tanti anni fa, ma praticamente tutti i pazienti, bambini e adulti, c'è quella che viene definita la prefase steroidea, cioè una settimana di cortisone, di agenti steroidei. Questo perché lo steroide agisce sulle cellule leucemiche, quindi è parte del programma terapeutico. In quei giorni, in quella settimana, noi possiamo completare l'analisi dettagliata di ogni singolo paziente. Qui arriva il punto importante, perché i pazienti devono essere soprattutto definiti se hanno o non hanno il cromosoma Philadelphia. Se hanno il cromosoma Philadelphia, allora la terapia deve cambiare immediatamente.
Dopo la fase steroidea dobbiamo assolutamente dare ai pazienti gli inibitori delle tirosin chinasi. Questo è mandatorio, però bisogna fare la diagnosi. Questo è il punto. Di nuovo i laboratori devono essere disponibili a inquadrare il paziente nel modo più preciso. In questo contesto, visto che parliamo a chi ci ascolta in Italia adesso, gli studi italiani degli ultimi 15 anni hanno un pochettino cambiato l'approccio alla leucemia acuta linfoblastica positiva, perché noi abbiamo deciso tantissimi anni fa già e continuiamo oggi, a non dare chemioterapia sistemica nei pazienti. Nell'induzione, che è la prima fase del trattamento e mira a ottenere la remissione della malattia, usiamo di fatto un inibitore delle tirosin chinasi senza chemioterapia associato allo steroide. Abbiamo dimostrato in tanti studi italiani, ripetuti negli anni con diversi inibitori, che con questa strategia possiamo mandare in remissione praticamente tutti i pazienti con una tossicità estremamente limitata. Aggiungo, come già detto prima, le pastiglie si danno per bocca, quindi parte della terapia può essere fatta a casa.
Dopo magari si dà chemioterapia, dipende da ogni singolo paziente, o anche un trapianto. Per gli altri pazienti, chemioterapia sistemica, sia che siano B o che siano T. Il gruppo che dev'essere identificato soprattutto per il piano terapeutico prognostico è quello della Philadelphia. Quindi chemioterapia sistemica e altri due capisaldi: uno è quello della cosiddetta profilassi del sistema nervoso centrale, perché le leucemie linfoblastiche acute possono dare localizzazione nel sistema nervoso centrale. Noi dobbiamo fare una profilassi con terapie, quindi sono delle punture lombari medicate, per cercare di prevenire una localizzazione nel sistema nervoso centrale. L'altro è ovviamente spesso parte del programma terapeutico ed è il trapianto allogenico delle cellule staminali. Il trapianto di midollo, come lo definivamo in passato. Questo oggi si usa molto più precocemente ed è, sulla base caratteristica dei singoli pazienti. Si decide se un paziente può beneficiare di un trapianto allogenico di cellule staminali oppure no. Questi sono gli approcci che noi usiamo nella terapia di prima linea di questa malattia
Qui la domanda è sulle terapie target delle leucemie acute linfoblastiche. Ho detto già degli inibitori delle tirosin chinasi che hanno rivoluzionato l'approccio terapeutico e la prognosi nella LAL Philadelphia-positive. Qui però ci sono altri farmaci. Direi che le LAL hanno beneficiato molto degli sviluppi delle tecnologie. Abbiamo anticorpi monoclonali per uso clinico. Uno in particolare che ci è di grande interesse è un anticorpo monoclonale chiamato bispecifico, perché da una parte riconosce le cellule leucemiche della linea B attraverso un antigene di superficie, e dall'altro riconosce una cellula del sistema immunitario del paziente e quindi attiva il sistema immunitario contro le cellule leucemiche. È una forma di immunoterapia. Questo anticorpo si chiama blinatumomab ed è stato approvato dagli enti regolatori per pazienti a linea B per ora Philadelphia-negativi ma si allargherà in futuro anche ai positivi. Per il trattamento di questi pazienti recidivati o refrattari è anche molto interessante per il trattamento della malattia minima.
Il primo farmaco approvato per il trattamento della malattia minima. A questo proposito dico che l'ultimo studio pubblicato del gruppo Italiano GIMEMA sulle LAL Philadelphia-positive dava in induzione e consolidamento due farmaci che non sono la chemioterapia. In induzione un inibitore tirosin chinasi di seconda generazione nilotinib e dasatinib, e in consolidamento questo anticorpo di cui vi parlavo. Senza chemioterapia sistemica con questo approccio la maggior parte dei pazienti ha ottenuto una remissione molecolare. Tutti sono stati in remissione ematologica e la stragrande maggioranza ha ottenuto una remissione molecolare senza chemioterapia sistemica. Una discreta rivoluzione.
C'è un altro anticorpo monoclonale che è anticd 22, associato a un chemioterapico, e anche questo è approvato per pazienti della linea B recidivati e refrattari. Due parole alla fine, perché c'è stata molta spinta mediatica, molti dati presentati da Speranza, attraverso queste cellule CAR T, che sono cellule che vengono perlopiù dal paziente stesso, quindi autonome. Sono dei linfociti del paziente che vengono raccolti, vengono mandati in una struttura di laboratorio dove vengono ingegnerizzati a riconoscere le cellule leucemiche del paziente. Dopo la procedura di ingegnerizzazione ed espansione queste cellule vengono rispedite al centro clinico e reinfuse nel paziente. La prima approvazione per uso clinico di queste CAR T è stata proprio per le leucemie acute linfoblastiche, per bambini e giovani adulti, per ora fino a 25 anni. Con risultati interessanti anche se sono procedure complesse, con una certa tossicità, ma anche questo è un campo in rapida evoluzione, quindi si stanno migliorando le procedure di ingegnerizzazione e di espansione di queste CAR T e i tempi di produzione. Credo che vedremo un fiorire di queste cellule e di queste procedure immunoterapiche in un futuro molto prossimo.